Con la dottoressa Silvia Spinelli, psicologa specializzata in genitorialità e bambini, abbiamo affrontato il tema dell’impatto di questo periodo sulla mente dei più piccoli.
La lunga permanenza in casa, la mancanza di contatti sociali, il repentino cambio di abitudini: come hanno influito sulla mente di genitori e figli? Come comportarsi nei loro confronti?
Silvia Spinelli, alias La psicologa Silvia, è una psicologa e psicoterapeuta che, da sempre, si occupa di bambini e genitorialità. In questo periodo di lockdown ha potuto raccogliere, sia nell’attività clinica sia nelle scuole come sportello d’ascolto scolastico, le paure e le problematiche ricorrenti relative al Covid.
“Da infermiera ti faccio subito una domanda a bruciapelo. Molti colleghi genitori, contraendo l’infezione, hanno affrontato la separazione in casa dai figli. Questo disagio, e questo grande cambiamento nella vita dei bambini, che tipo di conseguenze può avere sia nel breve che nel lungo periodo?”
“Una risposta definitiva non posso darla, perché questa pandemia si è configurata come un evento traumatico, se per trauma intendiamo un evento spiacevole, non controllabile, improvviso e imprevisto. Queste sono le caratteristiche per poter definire il trauma e il Covid le ha avute un po’ tutte. Per poter capire gli effetti di questa pandemia bisogna aspettare che finisca. Ma alcune cose già si possono osservare. Nel primo lockdown la cosa più comune in tutti i bambini sono state le regressioni: delle autonomie che state acquisite sono state perse. Non si è trattato di vere e proprie regressioni: più specificamente, un mammifero, quando si trova in stato di allerta, adotta determinati comportamenti. I bambini hanno sentito, anche attraverso la comunicazione non verbale, che c’era qualcosa che non andava e questo ha avuto un effetto ansiogeno su di loro. Sentendo l’ambiente intorno a loro non sicuro, si sono attaccati alle figure di riferimento, con maggiori richieste di vicinanza e rassicurazioni da parte dei genitori.
“Nella tua esperienza quali sono stati gli atteggiamenti positivi da parte dei genitori e quelli meno positivi o da evitare?”
“Sicuramente non è d’aiuto non parlare o non dire la verità. In generale non è mai d’aiuto con i bambini, perché hanno una grande capacità di lettura del comportamento e della comunicazione non verbale. Quando i genitori sono in allarme e non parlano, i bambini colgono dei messaggi incoerenti e capiscono che, quando di una cosa non si può parlare, quella cosa deve essere proprio brutta.
Non è stata positiva neppure l’esagerazione dell’atteggiamento di negazione e dissociazione perché non autorizzava a esprimere la paura. (“Andrà tutto bene”).
“Si potrebbe prendere questo evento come un’occasione -speriamo irripetibile- per imparare a superare una difficoltà e, se veicolata bene, per maturare?”
“In effetti sono stati proprio i più piccoli ad adattarsi meglio: persino al nido, bambini di 1 o 2 anni hanno imparato e rispettato le nuove procedure; hanno accettato di non poter portare alcuni giochi da casa; hanno imparato il lavaggio delle mani. Hanno quindi dimostrato capacità di adattamento sorprendenti.
Per quelli più grandi la cosa più pesante è stata l’isolamento, la mancanza di socialità.”
“All’interno di una famiglia che è stata costretta a cambiare le proprie abitudini e a ritrovarsi in quattro mura -spesso non così spaziose- quali sono stati i problemi più frequenti?”
“I problemi sono sorti nel momento in cui abbiamo cercato di fare le stesse cose di prima in una situazione completamente diversa.
Se sono in mezzo alla pandemia, devo lavorare da casa, i bambini devono fare la didattica distanza e voglio continuare a cucinare le cose sane, avere tutto in ordine, avere tutto sotto controllo, questa cosa porta a un aumento di tensione pazzesco.
Sicuramente hanno reagito meglio le famiglie che hanno compreso che la situazione era nuova e che, di conseguenza, anche le abitudini familiari dovevano essere modificate.
Ci sono stati dei problemi legati ai lutti: genitori che hanno perso i loro genitori e dovevano occuparsi del loro lutto e, nel frattempo, della paura o della preoccupazione di un bambino che a sua volta aveva perso entrambi i nonni. La situazione è stata molto, molto pesante per queste famiglie.”
“Riguardo la scuola, in quest’anno dove i bambini hanno frequentato un po’ sì e un po’ no, quali sono stati gli aspetti positivi e negativi?”
“Positivo che ogni insegnante abbia dovuto per forza utilizzare la tecnologia. Quindi la DAD non è tutta da buttare. Nel primo lockdown gli sforzi sono stati rivolti ad apprendere l’utilizzo delle piattaforme e a capire come comunicare con i ragazzi. Nella seconda fase della pandemia, gli insegnanti hanno iniziato ad adattare la didattica alla piattaforma. Hanno capito che non si può fare la lezione uguale a quella che si faceva in presenza, perché il sistema di feedback è diverso. Quindi la cosa positiva secondo me è che gli insegnanti hanno iniziato ad adattare la didattica e a cambiarla per renderla più adeguata allo strumento.
Si sono anche resi conto che nulla può sostituire la scuola in presenza perché la scuola per un bambino è la normalità, cioè la relazione con i compagni e con l’insegnante.
Mi sono accorta, ascoltando un po’ di lezioni di mio figlio, come quasi tutte iniziassero con “maestra mi vedi, maestra mi senti” e mi ha fatto capire quanto per i bambini lo sguardo dell’insegnante -in quanto adulto che non è parte della famiglia- sia necessario.”
“E, dal punto di vista emotivo, che impatto ha avuto il Covid sulla crescita dei bambini ?”
“Sicuramente l’emozione della paura è stata molto rappresentata. In generale è stato premiato ogni contesto in cui ci si è preso il tempo per parlare di queste emozioni e condividerle con i figli. Questo ha aiutato nell’elaborazione di una situazione così pesante.”
“Grazie Silvia! Invito tutte le persone che ascoltano a guardare il canale “Educational Tips” su Facebook perché è fantastico e si possono trovare un sacco di riferimenti utili e interessanti.”
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